venerdì 9 marzo 2012

Il testo poetico

Il testo poetico è un’opera in versi in cui l’autore esprime un messaggio la cui caratteristica principale è la polisemia: ciò significa che in ogni poesia è riscontrabile un significato di base oggettivamente valido, ma che, al di là di esso, ogni lettore potrà “scovarvi” tanti altri significati, a seconda della propria cultura e della propria sensibilità. 

Il verso

Il carattere distintivo di ogni testo poetico è costituito dal fatto, immediatamente visibile, di essere composto in versi.
I versi non sono tutti uguali: possono essere lunghi come nelle poesie-racconto di Cesare Pavese oppure brevi come nelle liriche dell’Allegria di Giuseppe Ungaretti.
Il verso, inoltre, non marca solo una diversità di tipo visivo rispetto ai testi in prosa, ma costituisce anche l’unità di base del ritmo di una poesia. Esso è costituito dalla successione armonica e alternata di sillabe toniche (accentate) e sillabe atone (non accentate). Le sillabe delle parole di un verso, infatti, non vengono pronunciate tutte con la stessa intensità: alcune sono pronunciate con più forza e assumono un particolare rilievo. Bisogna fare attenzione, d’altro canto, a non confondere l’accento tonico della parola con l’accento ritmico del verso:
  • l’accento tonico interessa la sillaba singola su cui la voce, nel pronunciarla, batte con maggior forza;
  • l’accento ritmico (o ictus) si ricava, invece, dalla combinazione di più parole.
Ne consegue che sillabe fornite di accento grammaticale non hanno l’accento ritmico e sono considerate, da un punto di vista metrico, atone.
In base al numero delle sillabe, i versi italiani possono essere ricondotti a due grandi categorie:
  • versi parisillabi (bisillabo, quaternario, senario, ottonario, decasillabo), dove l’ultimo accento ritmico cade su posizione dispari;
  • versi imparisillabi (quinario, settenario, novenario, endecasillabo), dove l’ultimo accento ritmico cade su posizione pari.
A queste tipologie di base sono inoltre da aggiungere i cosiddetti versi doppi, formati da due versi fondamentali uniti in uno solo (doppio quinario, doppio senario o dodecasillabo, doppio settenario, doppio ottonario). I versi sciolti, invece, sono versi legati ad altri presenti nella strofa soltanto dalla lunghezza predeterminata (senari, settenari, endecasillabi etc.), ma sciolti da qualsiasi legame di rima.
I poeti del Novecento prediligono il verso libero, non organizzato in un numero fisso di sillabe né tanto meno vincolato a particolari schemi di rime, e quindi non riconducibile a una tipologia precisa.
In un testo poetico, i vari versi vengono visibilmente raggruppati in unità più grandi, di natura ritmico-metrica, dette strofe. La tradizione poetica italiana distingue le strofe secondo schemi ritmici fissi; le forme più ricorrenti sono:
  • il distico, formato da due versi a rima baciata;
  • la terzina, formata da tre versi legati da rima incatenata (adoperata da Dante nella Divina Commedia e detta perciò “dantesca”);
  • la quartina, formata da quattro versi legati da rime disposte in vario modo (incrociate, alternate etc.);
  • la sestina, formata da sei versi con varie combinazioni di rima;
  • l’ottava, formata da otto versi legati da rime a schema ABABABCC o ABABABAB.
La tradizione letteraria italiana, inoltre, nel corso del tempo, ha disposto tali strofe in strutture precise, dette metri (il sonetto, la ballata, la canzone), la scelta dei quali non è stata mai operata dai poeti casualmente, ma in base all’argomento da trattare (la poesia retorica necessitava della terzina, il poema epico-cavalleresco dell’ottava, la lirica del sonetto o della canzone etc.).
A partire dal secolo XIX fino ai nostri giorni, tuttavia, i poeti hanno mostrato una crescente insofferenza nei confronti di qualunque imposizione che limitasse la libertà di espressione: dalle innovazioni progressivamente apportate da autori come Foscolo, Leopardi e D’Annunzio (rispettivamente, con i versi sciolti, la canzone leopardiana e la strofa lunga) si è così giunti a un rifiuto pressoché totale delle forme metriche tradizionali. Ciò non vuol dire, ovviamente, che i componimenti dei poeti contemporanei siano privi di qualunque effetto ritmico: semplicemente, essi non sono riconducibili a schemi predefiniti e si rivelano piuttosto come il risultato di scelte espressive di volta in volta diverse e originali.

La rima

Nell’analizzare un testo poetico bisogna prestare particolare attenzione alla rima, elemento fondamentale del ritmo. Le rime compaiono di solito (ma non sempre) in fine verso e creano tra i vari versi effetti ritmici diversi, a seconda di come sono combinate. Le diverse combinazioni danno luogo a differenti tipologie di rima:
  • la rima baciata lega due versi consecutivi in base allo schema AA, BB, CC etc.
  • la rima alternata lega due versi pari e due dispari in base allo schema AB, AB etc.
  • la rima chiusa (o incrociata), nell’avvicendarsi di quattro versi, lega il I al IV e il III al II in base allo schema ABBA etc.
  • la rima incatenata (o terza rima), in strofe di tre versi (terzine), realizza un legame a catena in base allo schema ABA, BCB, CDC etc.
  • la rima ripetuta lega gruppi di tre versi in base allo schema ABC, ABC etc.
  • la rima invertita, nell’avvicendarsi di sei versi, realizza un legame in base a tre possibili schemi di inversione: ABC/ACB, ABC/BCA, ABC/CBA.
  • la rima interna si trova, anziché a fine verso, al suo interno; nel caso coincida con la cesura principale del verso, si dice rima al mezzo.
Una sorta di rime “imperfette” sono l’assonanza e la consonanza. Nella prima l’identità di suono tra le ultime sillabe di due parole riguarda le vocali e non le consonanti (Quando… tanto); nella seconda, al contrario, le consonanti e non le vocali (rosso… messe).

I campi semantici e le parole-chiave

Le parole che compongono una lingua non vivono “scucite”, anzi si richiamano l’una all’altra: o perché hanno in comune il significato (i sinonimi), o perché hanno in comune la forma, ma non il significato (gli omonimi), o perché sono in opposizione (i contrari), o per associazione di idee etc. Tale rete di relazioni fra le parole crea un campo semantico, in cui ogni parola può introdurre altre relazioni e, quindi, un altro campo.
La parola attorno a cui ruota un campo semantico si chiama parola-chiave. Nei testi poetici la parola-chiave è quella che racchiude l’argomento stesso della poesia: individuare la parola-chiave, pertanto, è fondamentale per capire il significato del componimento.

Le figure retoriche

Uno dei modi attraverso cui i poeti danno al linguaggio maggiore forza espressiva e di significato è l’impiego delle figure retoriche (va precisato tuttavia che esse sono ampiamente utilizzate in qualsiasi testo letterario, anche narrativo per esempio). Le figure retoriche si distinguono generalmente in:
  • figure sintattiche o di posizione, che riguardano la disposizione delle parole all’interno del verso; 
  • figure di suono, che vertono sugli effetti fonici delle parole; 
  • figure di significato o semantiche, che conferiscono una funzione espressiva ai termini in virtù del significato che viene loro attribuito.  
Tra le figure sintattiche o di posizione ricordiamo:
  • l’enjambement: si realizza quando la fine di un verso non coincide con la fine di una frase, che continua nel verso successivo conferendo al testo una più sinuosa fluidità ritmica;
  • l’anafora: ripetizione di una o più parole all’inizio di versi o periodi consecutivi;
  • l’anastrofe: inversione, all’interno di una frase, di una o più parole rispetto al loro ordine logico;
  • l’iperbato: allontanamento di due termini che sono generalmente accostati.
Tra le figure di suono, sono particolarmente frequenti:
  • l’allitterazione: ripetizione di lettere, sillabe o suoni uguali o affini in parole tra loro vicine per ottenere un particolare effetto sonoro;
  • l’onomatopea: utilizzazione dei suoni di una parola per evocare o suggerire a fini espressivi il suono della cosa o dell’animale che si vuole indicare.
Tra le figure semantiche bisogna ricordare:
  • la metafora: sostituzione di un termine con un altro legato al primo da un rapporto di somiglianza;
  • la metonimia: sostituzione di un termine con un altro, appartenente allo stesso campo semantico (l’effetto per la causa, la materia per l’oggetto, il concreto per l’astratto etc.);
  • la sineddoche: sostituzione di un termine con un altro, legato al primo da un rapporto di estensione del significato (la parte per il tutto, il tutto per la parte, il singolare per il plurale etc.);
  • la sinestesia: accostamento di due parole che si riferiscono a sfere sensoriali diverse.
In sintesi: Per analizzare un testo poetico
  • Leggi attentamente i versi, cercando di comprenderne il significato letterale; ricorda che è opportuno ricorrere alla consultazione di un dizionario se non conosci il significato di uno o più termini.
  • Per una prima decodifica del testo, procedi con una parafrasi: ricostruisci il lineare ordine sintattico dei periodi e delle proposizioni, sostituisci le parole difficili con parole di uso comune e integra il testo con gli elementi sottintesi.
  • Per l’analisi contenutistica fai molta attenzione alle parole ricorrenti, che possono assumere la valenza di vere e proprie parole-chiave, alle parole che rimandano a un campo semantico specifico e alle parole poste in rilievo (a inizio verso, a fine verso, in rima).
  • Per gli aspetti stilistici e linguistici, è fondamentale: riconoscere la forma metrica utilizzata (tipo di componimento, versi tradizionali o verso libero etc.); individuare la presenza-assenza di rime, assonanze, consonanze, la presenza-assenza di enjambement e gli effetti sul ritmo, le figure retoriche impiegate.

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